Sermoneta_2020

Festival del Tempo – Bando internazionale per residenze artistiche. A cura di Roberta Melasecca

Codice di Sermoneta. Il progetto

Il tema che costituisce lo sfondo del progetto qui presentato è il tema della percezione e immaginazione degli abitanti in rapporto al proprio paesaggio urbano: le città sono disegnate e costruite dai percorsi di vita delle persone che le abitano, dall’intreccio delle loro storie.
Il progetto di installazione ideato per il Festival del Tempo prevede un intervento diffuso e disseminato sull’intero tessuto urbano di Sermoneta. Tra gli spazi interessati dall’intervento ci saranno alcuni luoghi messi a disposizione dall’organizzazione come la scalinata del Castello Caetani, Scalinata Marchioni, il Tunnel di Piazza del Comune, Piazza Santa Maria, la Torre Semicircolare; così come altri luoghi scelti sul posto durante la residenza, in accordo con lo staff.
L’intervento artistico prevede di disseminare nelle nicchie, nei fori delle mura di pietra, nei pertugi, nelle feritoie, nelle crepe, su davanzali o scalini piccoli mattoni di mdf (derivato del legno) di diverse dimensioni. I mattoni saranno dipinti di bianco su tutti i lati, mentre su almeno 3 lati, quelli più visibili, saranno presenti segni, forme o simboli di color nero, diversi per ciascun mattone.
Il progetto qui proposto rappresenta una forma ampliata e più dinamica dell’intervento installativo realizzato nel 2018 durante la mia residenza artistica presso il Glurns Art Point di Glorenza – BZ, nell’ambito del Festival TiefKollektiv/ProfondoCollettivo a cura di Michele Fucich.
Le opere così realizzate e collocate nello spazio costituiranno un percorso attraversabile dagli abitanti, volto a far emergere e rendere visibili il vasto serbatoio di forme, tempi, manufatti, simboli della stratificata storia di Sermoneta e del suo presente. Nello spazio della città saranno dunque diffuse le tracce di un codice, di una lingua visiva perduta e da riscoprire, portata nuovamente alla luce seppur in modo frammentato e parziale. Pezzi di un tempo passato da scovare con l’atteggiamento attento e curioso dell’archeologo, ma anche “forme del tempo” (G. Kubler) aperte alla trasformazione nel rapporto con i lettori-abitanti, forme rivolte al futuro in grado di indurre nuove letture, percezioni e interpretazioni.
I segni/simboli che caratterizzeranno i mattoni di mdf saranno raccolti attraverso: studio dei simboli medievali e rinascimentali di Sermoneta; ricerca di immagini online; indagine fotografica svolta durante la residenza volta a selezionare gli elementi significativi del paesaggio urbano; visita al museo della ceramica (se possibile); piccola consultazione informale tra gli abitanti, al fine di scovare forme, segni urbani e simboli del paesaggio per loro significativi.
Le forme e i segni tracciati sulle “mattonelle” faranno leva sulla qualità poietica della bidimensionalità grafica e del contrasto pieno tra bianchi e neri, in grado dunque di indurre nello spettatore effetti ottici, percezioni e visioni molteplici; lasciando contemporaneamente spazio alll’immaginazione e alla memoria di chi guarda. Il coinvolgimento attivo degli abitanti sarà parte integrante del progetto installativo.
A un’analisi più approfondita, Il monolite in legno rivela una duplice natura temporale: esprime fissità, è un arresto del tempo, una sua sospensione; ma nasce da un cambiamento e soggiace alla trasformazione e stratificazione del tempo. Anche spazialmente si rivela la sua interna contraddizione: è un segno visibile che si caratterizza come interruzione dello scenario e del paesaggio urbano, un corpo estraneo che cambia e rinnova lo sguardo; ma anche segno/simbolo radicato nel patrimonio architettonico, artistico e storico di Sermoneta e integrato in esso.
La concezione dell’homo faber, il concetto di teknè sono i rimandi alla base dell’utilizzo e della presenza del “monolite” di legno: la sua forma simboleggia la capacità dell’essere umano in generale e dell’artigiano-artista in particolare di intervenire lungo il tempo sullo spazio e la materia, in un rapporto di reciproche influenze, forze e occasioni di conoscenza tra il soggetto e la materia (T. Ingold). La materia si pone essa stessa come soggetto alla pari con l’essere umano, non solo nella fase di lettura e fruizione a sottolinearne la condizione di autonomia, ma anche nel processo di creazione dello stesso manufatto. Il produrre viene qui concepito come processo di generazione della forma, ma la forma o meglio la materia che ne è alla base, è sempre in viaggio, in divenire, va costantemente avanti, superando di volta in volta la destinazione formale che, in ogni nuovo processo di recupero e creazione, le è attribuita.
Capire la temporalità interna alla materia, le storie che la materia racconta, ci permette quindi di cogliere uno dei punti centrali dell’intero progetto: le forme (artistiche, artigianali, patrimonio culturale di ogni territorio)  sono sempre nella condizione di trasformarsi in qualcos’altro. Sia come artisti che come fruitori-lettori, siamo coinvolti nella storia dei materiali e assistiamo alla loro vita interna, allo scorrere e agire del tempo. Per questo a mio parere è interessante assistere, una volta allestita l’installazione, agli effetti del tempo, dell’agire degli abitanti e/o degli animali sui mattoni, seppur nascosti e per cosi dire “protetti” da feritoie e pertugi. Questo intreccio di relazioni e interazioni costituisce il cuore pulsante dell’installazione. La corrosione degli agenti atmosferici (sebbene i materiali siano preparati per resistervi), le azioni di spostamento o di nascondimento riservate ai monoliti da parte degli abitanti sono solo alcuni degli effetti che sarebbe stimolante poter registrare con la documentazione fotografica di un prima e di un dopo.
Il “manufatto” a cui mi sto riferendo in questo specifico caso è caratterizzato da un segno su una materia, il legno, la quale risulta addomesticata (preparata) già a monte. Il vero protagonista dell’esperienza artistica qui descritta è quindi il processo di scrittura sulla materia e proprio questa condizione introduce, da un altro punto di vista, il tema del tempo. I mattoni dipinti sono il frutto di un processo di studio e selezione delle forme, segni e simboli che costituiscono il patrimonio visivo del territorio e ne rilanciano una personale narrazione, mappatura. I nuovi segni così prodotti sono a loro volta un incontro tra tempi diversi, quelli della storia e cultura di Sermoneta e il tempo dell’elaborazione e creazione, dando luogo a una stratificazione di tempi “originaria” che fa parte in modo costitutivo del processo artistico. A questo incontro si affianca anche quello tra prodotto artistico e fruitore che in questo progetto si esprime sotto forma di lettura, processo che incamera al suo interno la dimensione temporale, del viaggio con l’occhio e con la mente.
La pratica del camminare, alla ricerca con lo sguardo del monolite, si fa esperienza ritmica dal valore conoscitivo, mappatura non solo ottica ma anche aptica e corporea. Insieme allo sguardo e alla conoscenza si sposta anche l’immaginazione, quella che Matteo Meschiari (“Neogeografia”) dichiara essere la facoltà per eccellenza dell’homo geographicus. Mettere al centro del progetto, come pratica di fruizione, il camminare consente di esplorare in modo nuovo un luogo familiare, ma anche di mappare con il corpo lo spazio e di spingersi più in là con l’immaginazione oltre i vuoti e i segni, oltre la percezione e la memoria. E “fare spazio” all’immaginazione consente di vivere il proprio territorio in modo più libero, creativo, consapevole.

Codice di Sermoneta. L’esperienza della residenza

Il progetto di installazione diffusa “Codice di Sermoneta” è realizzato attraverso l’uso di tavole di mdf di diverse dimensioni dipinte con immagini di forme urbane, simboli e dettagli di Sermoneta, rielaborati dal mio sguardo e linguaggio visivo. La bidimensionalità delle immagini, la sinteticità del segno, il contrasto puro tra bianco e nero sono elementi usati per giocare con l’ambiguità della percezione. In questo modo lo spettatore è stimolato a riconoscere qualcosa di reale e conosciuto ma anche a produrre e rievocare immagini e visioni che appartengono alla propria esperienza e storia di vita.
L’installazione sarà presente in due punti distinti ma vicini. Alcuni mattoncini di mdf sono collocati lungo la scalinata Marchioni, all’interno di nicchie e fori situati nella cinta muraria, scelti tra i più adatti ad accogliere le tavole di legno. Il percorso lungo la scalinata rappresenta una mappatura personale di Sermoneta seguendo il tema del rapporto del tempo con i luoghi. Altri  mattoncini sono collocati nella Torre Nuova del Bastione omonimo, spazio circolare su piano strada e all’aperto, all’interno del quale è allestito un Micro Museo. Entrambi i luoghi sono stati scelti in virtù della loro collocazione e fruizione, luoghi meno battuti e “segnati” dal passaggio dei turisti pur essendo limitrofi al corso principale.
Nel rapporto con la città, oltre ad effettuare ricerche di segni urbani utili al progetto, ho cercato di privilegiare le relazioni dirette con gli abitanti affinchè il progetto, per sua natura in situ e in progress, fosse anche il risultato di un incontro e scambio con la popolazione. La presenza dei monoliti ha come scopo quello di generare curiosità e attivare lo sguardo al contesto in cui è inserito, ma anche di attivare processi di risignificazione e trasformazione dei luoghi anche attraverso il coinvolgimento degli abitanti. Da qui l’idea del Micro Museo a cielo aperto, allestito all’interno della Torre Nuova con una parte della produzione visiva del progetto e la partecipazione attiva delle donne residenti nelle case adiacenti. La Torre viene percepita e vissuta dalle donne del quartiere come un prolungamento della propria abitazione, come un luogo di cui prendersi cura, da qui la presenza all’interno dello spazio di paletta e scopa per ripulirlo autonomamente dagli escrementi degli animali. Il mio incontro con loro non è stato vissuto come un’ingerenza bensì come un’occasione  di riattivare quei luoghi così amati ma percepiti come trascurati. Dai racconti delle sermonetane incontrate è emerso come la Torre e il Bastione retrostante fossero anni fa teatro di iniziative culturali e di interventi di gestione e manutenzione, mentre ormai da tempo sia tutto lasciato all’incuria e addirittura, come nel caso del bastione, preclusi al passaggio pubblico.
Il contatto che si è creato in poco tempo è stata la condizione per poter coinvolgere quelle stesse donne di diverse generazioni nel processo di ideazione del Micro Museo chiedendo ad esempio di pensare a un nome per il museo. È stato proposto il nome “Era fico” in riferimento al passato della Torre, quando un tempo, piena di terra, ospitava sulla cima un albero di fichi (del quale si nota una traccia nella radice secca che pende dall’alto verso l’interno ormai svuotato della torre). Oltre a questo riferimento mi è stato spiegato che l’espressione consentiva di ricordare della Torre, un altro “tempo, un’altra esistenza e di riandare con la memoria agli anni in cui “era fico” abitare nei suoi pressi, in quanto zona ricca di eventi e attività.
Il nome è stato assegnato dunque consapevolmente con un’accezione ironica, curiosa e polisemantica soprattutto per chi non conosce i dettagli, ma significativa per chi quel nome lo ha scelto.
Il senso e il significato dei monoliti non risiede solo nella componente visibile e grafica, in connessione esplicita con la storia e l’identità collettiva di un luogo, ma anche e soprattutto nel valore produttivo e trasformativo verso spazi e relazioni, in virtù di una reciproca condizione di scambio e comunicazione tra l’intervento artistico e gli immaginari, i desideri e i bisogni di chi vive e attraversa quei luoghi.