Io e Daniela Angelucci, prof.ssa di Estetica dell’Università di Roma 3 ci siamo conosciute e incontrate circa un anno e mezzo fa, lei filosofa che si occupa di arte, io artista laureata in filosofia. Abbiamo condiviso fin da subito comuni passioni e sguardi. Ci siamo messe all’opera all’interno della mostra “Città inservibile. Morfologie indisciplinate” invitate dalla storica dell’arte e curatrice Michela Becchis, progetto che ha visto la luce a Roma il 20 aprile 2023. Il progetto espositivo rappresenta il punto di arrivo di un percorso di ricerca, individuale e collettivo, iniziato più di un anno fa e che ha visto dialogare in più occasioni 4 artiste e 4 studiose intorno al tema della città e dello spazio urbano.
Questa ricerca ci ha viste camminare in due, in luoghi conosciuti e con un percorso in mente, ma con l’idea di attivare uno sguardo differente da quello ordinario e di ascoltare la città che ci veniva incontro e ci parlava. Ed essendo Roma la città eterna e disperante che abbiamo percorso, ci è venuta incontro con forza e senza pudore, lasciando emergere ogni volta storie inaspettate e forse più dure di quello che avremmo immaginato.
La città è inservibile, allora, perché guasta, esasperante, inutilizzabile. Ma questo suo sottrarsi ai consueti fini pratici ci ha offerto l’opportunità di un uso diverso da quello consueto: la città non ci serve, non è al nostro servizio, e nelle crepe di questa inutilità possiamo trovare qualcosa di differente, necessario e liberatorio.
Nello stesso tempo, nel corso di questo progetto eravamo anche noi due a parlare l’una all’altra, associando fatti e persone della nostra vita agli spazi attraversati, ma anche confrontandoci sulle pratiche artistiche e filosofiche che ci interessano e ci muovono. E così le nostre esplorazioni urbane sono state una mappatura corporea, cognitiva ma soprattutto affettiva della città e in fondo anche di noi stesse, di cui i disegni realizzati sono una ricaduta materica. Le 12 tavole, esposte in mostra a partire dal 20 aprile, rappresentano paesaggi materici inglobati all’interno di figure enigmatiche. Le “macchie nere”, come ci piace chiamarle, sono testimonianza delle alterità incontrate, delle emozioni vissute nei luoghi attraversati con orecchie, mani e occhi aperti.
Da questa nostra prima esperienza nasce il collettivo Laboratorio Urbano Visuale, contenitore di pratiche e progetti, che durante il periodo della mostra ha condotto un’esperienza guidata sull’uso delle immagini a fini autobiografici dal titolo “Viaggio dentro l’immagine”. I partecipanti sono stati chiamati a compiere un viaggio all’interno delle immagini del nostro progetto in mostra per capire come si realizza una pratica e una ricerca artistica e come funziona il linguaggio visivo nel suo rapporto con l’autonarrazione e con i luoghi urbani. I partecipanti sono stati stimolati a produrre a loro volta forme e codici visivi per raccontare i propri luoghi del cuore.
La nostra ricerca sugli spazi urbani, sull’immagine e l’immaginazione, sulle pratiche filosofiche e artistiche legate alle biografie dei territori e all’autonarrazione continua…